sabato 25 giugno 2011

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda

Il commissario Francesco Ingravallo che tutti oramai chiamavano don Ciccio è incaricato delle indagini su due delitti- un furto ed un omicidio-  avvenuti nel mese di marzo 1927 presso il palazzo residenziale di via Merulana 219 a Roma , "il palazzo d’oro o dei pescicani". Fin qui tutto bene , sembrerebbe un classico giallo , forse il primo giallo italiano del secondo dopoguerra. Ma non è cosi' semplice. Se si lascia da parte il "genere", questo è un libro "complicato", difficile da metabolizzare e con innumerevoli piani di lettura. Il linguaggio utilizzato -un misto di italiano , dialetto romano ( omaggio al Belli) lingue straniere e neologismi- insieme ad una sintassi esageratamente ricca e all'abbondanza dei personaggi, spesso di origini differenti,  hanno "stremato ed affaticato" la mia lettura.Le parole vengono deliberatamente deformate seguendo associazioni di pensiero del tutto irrazionali. Il più delle volte le frasi sono lunghe, contorte ricche di aggettivi. La trama passa da un luogo all'altro tra innumerevoli personaggi perdendosi spesso in affascinanti elucubrazioni mentali del nostro don Ciccio. Sicuramente e volutamente 'un libro fuori dagli schemi della narrazione classica, un originale "esperimento di ingegnerizzazione narrativa e lessicale che  costringono il lettore ad essere sempre all'erta e sul chi va la' durante la lettura. A detta di Pier Paolo Pasolini , "un testo che sembrerebbe  prestarsi per un critico stilistico a orge d'analisi, da perdercisi come un topo nel formaggio". A titolo d'esempio dello stile gaddiano,  riporto dal testo la descrizione fantasmagorica di Zamira Pàcori uno degli innumerevoli personaggi del pasticciaccio.

"La di lei attività era ufficialmente quella di rammendatrice e rimagliatrice, carzonara, tintora, in qualche caso merciara, irngirica de guarì la sciatica per segreto d'erbe, indovina chiromante e cartomante patentata con spaccio di vini e liquori alii Du Santi, e maga orientale con diploma di prima classe: al laboratorio-bettola dove i carrettieri dell'Appia sostassero per una fojetta, appunto ai Due Santi. Era consultata nel ramo esorcismi, aperture o rotture d'incantagione, sbratto del malocchio di dosso ai lattanti col cércine, ai bambini scemi, scongiuri preventivi in genere: e anche in materia de lavatura de la testa da fa annà via li pidocchi, e quando je se fermava er mese a quarche regazza, o per nervosità o per altro sturbo, che ce ne so tanti, se sa. Immunologista di gran pratica e di rara competenza, dopo la liberazione d'Italia dall'incùbo dell'idra bolscevica a opera der Gran Balcone del Santo Sepolcro (28 ottobre 1922), il cracking della jettatura sive jella, di cui padroneggiava l'infinita casistica, di più in più costituì l'argomento principe de' ricorsPalla di lei arte. Non di tutti, però. Era esperita, sic et simpliciter, come da dono di natura, era autrice di decozioni propiziatorie e anche revulsive, al caso, e di quasi tutti i filtri e le polverine d'amore d'ambo i segni, cioè positivo e negativo. Faceva abortire le canine di razza, poerine, ingravidate da un bastardo randagio. Sapeva inculcare, dietro onesto compenso, un quanto cioè un tanto d'energia cinetica a' dubbiosi, a' malsicuri: confortarli al Jjragnaa, corroborarli all'azione. Con dieci lire si acquistava di sua medicina la facoltà di volere. Con altre dieci quella di potere. Dekirkegaardizzava farabuttelli di provincia incanalandoli a « lavorare » in città, detta l'Urbe, dopo avelli deterso l'anima dalle ultime perplessità: o dagli ultimi scrupoli. Instradava gli audaci, mostrando loro che le deboli creature del sesso non attendevano di meglio, a' quegli anni, se. non d'appoggiarsi a un qualcuno, d'attaccarsi a un qualche cosa, che fosse buono a divider seco un immemore orgasmo, la dolce pena del vivere: li catechizzava alla protezione della giovane, in concorrenza con l'omonima associazione. E i catecùmeni l'avevano a maestra, pur titolandola da una bevuta all'altra di sudicia, quando si credevano la non udisse lei, beninteso, e di ciabatta teista e bbefana: data l'avventatezza del secolo, e la loro personale sguaiataggine: e magari di maiala, anche, la titolavano, una Zamira Pàcori! e di vecchia ruffiana, bah, una sarta come lei ! una maga orientale con diploma di prima classe ! Bella gratitudine. E aveveno er grugno pure de dì che li Du Santi... ereno... un par de « nun zo se me spiego », accompagnando l'asserto con una manucaptazione-prolazione ivvereconda del paro stesso, per quanto involtato nel « cavallo » : invereconda, oh sì, ma non infrequente, ;illora, nell'uso del popolo. Calunnie. Bocche sporche. Teppa de campagna, che la notte va a rubbà li polli".

Per la cronaca , il testo è stato portato sul grande schermo nel 1959  dal regista Pietro Germi  con il film : "Un maledetto imbroglio" e sul piccolo schermo  nel 1983 con una serie televisiva  in cui Ingravallo era interpretato da Flavio Bucci


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